Gli adattamenti fisiologici in altura, perchè sono importanti, benefici, pericoli, tutto quello che devi sapere.

Non è certo oggi che si sono scoperti i vantaggi di un periodo di allenamento in altura, anzi, le prime notizie in merito ad una possibile influenza dell'altitudine nei confronti dell'efficienza fisica erano già presenti nel Milione di Marco Polo. L'aria che respiriamo è costituita da una miscela di gas presenti in percentuali costanti: azoto 78%, ossigeno 21%, anidride carbonica 0,04% e gas inerti come argon, elio, ozono etc. che non si modificano per effetto della quota. Cambia però la pressione parziale, e si riduce notevolmente con l'aumentare della quota. È questo il motivo per il quale al nostro organismo arriva un apporto di ossigeno insufficiente. Con livelli bassi di ossigeno nel sangue, una minor quantità di ossigeno è disponibile per i tessuti, determinando l'ipossia, cioè la diminuzione di ossigeno nei tessuti. La ridotta concentrazione di ossigeno nel sangue porta ad una serie di adattamenti fisiologici naturali; per prima cosa, il centro respiratorio aumenta la ventilazione.

Però questo aumento non può essere eccessivo, situazione tipica di soggetti non allenati e che si sottopongono ad un repentino innalzamento della quota altimetrica; infatti, se la ventilazione polmonare aumenta troppo rispetto alla richiesta metabolica, si va incontro alla iperventilazione, cioè una serie frequente di atti respiratori, anche fino a 40 al minuto, che non portano ad un aumento di ossigeno, bensì ad una riduzione notevole dell'anidride carbonica nel sangue, chiamata alcalosi respiratoria. Questo ha come effetto una diminuzione dell'acidità del sangue, che a sua volta porta ad un aumento dell'affinità dell'emoglobina, cioè che una minore quantità di ossigeno viene rilasciata nei tessuti, ma anche una maggior quantità di ossigeno che viene legata all'emoglobina nei polmoni. Con il passare dei giorni in alta quota i reni, con una maggiore produzione di bicarbonato, riportano a valori di stabilità l'equilibrio acido-base; poi, inizieranno a secernere l'ormone eritropoietina, che stimola la sintesi di eritrociti, determinando un aumento fino al 60% dell'ematocrito. In questo modo, si provoca un aumento della concentrazione di emoglobina nel sangue, e quindi un aumento della capacità di trasporto di ossigeno del sangue.

Le ricerche effettuate hanno quindi indicato che con l'acclimatazione alle alte quote si verifica un significativo aumento dell'emoglobina (Hb) e dell'ematocrito (Hct), anche se questi risultati possono suggerire anche altri spunti di riflessione. Infatti, l'acclimatazione all'ipossia provoca una riduzione del volume plasmatico e conseguentemente un incremento relativo dei valori di Hct; questo processo sembra sia causato da un insieme di fattori, come una perdita di proteine dal plasma, un incremento della permeabilità capillare, della disidratazione e della diuresi. E' bene, inoltre, sottolineare che gli adattamenti fisiologici riescono a contrastare l'aumento della quota altimetrica fino a circa 5.000 metri; oltre questa soglia, infatti, le modificazioni funzionali dell'organismo non riescono a compensare gli squilibri dovuti alla quota altimetrica, portando a un deterioramento dell'organismo, qualora esposto a lunga permanenza in alta quota. Altro elemento importante dell'acclimatamento è l'aumento della frequenza cardiaca, per compensare con un maggior numero di battiti al minuto la minore disponibilità di ossigeno, mentre diminuisce la gittata sistolica, cioè la quantità di sangue che il cuore pompa ad ogni battito.

In questo caso è stato dimostrato che se un soggetto ha, a livello del mare, una frequenza cardiaca massima di 180 battiti al minuti, alla quota di 5.000 metri non riesce a superare i 160 battiti al minuto. Si è provato, poi, a riprodurre questi stimoli indotti dall'ipossia tramite delle tende ipossiche-ipobariche. Si tratta di strutture chiuse nelle quali l'atleta soggiorna per alcune ore al giorno (in genere quelle notturne) respirando aria nella quale è stata ridotta artificialmente la pressione parziale di ossigeno. Studi in tal senso, però, non hanno ancora dimostrato univocamente l'efficacia di questa pratica, infatti non tutti i soggetti che si sottopongono a questo trattamento rispondono allo stesso modo ed in molti soggetti non si è avuta nessuna modificazione, a livello di aumento di globuli rossi o eritropoietina, mentre in altri, anche brevi esposizioni ipossiche (1.5 -2.0 ore), si sono dimostrate sufficienti a stimolare una maggiore produzione di eritropoietina e quindi ad incrementare i globuli rossi. Comunque, è dimostrato che per ottenere dei reali incrementi di globuli rossi si deve permanere ad alta quota per una durata non inferiore alle 3 settimane ed alle 10 ore al giorno, per cui risulta difficile credere che una esposizione di qualche ora in una tenda ipossica possa svolgere la stessa funzione e con gli stessi identici benefici; però, ancora oggi non si è riusciti ad individuare una "soglia", dipendendo molto anche dalle singole capacità genetiche del singolo soggetto.

Lasciando stare esposizioni ipossiche artificiali, comunque, la permanenza in alta quota di durata adeguata, intorno alle sei settimane, ha dimostrato di poter produrre un reale incremento della massa eritrocitaria, seppure con una certa variabilità individuale. Ai fini del miglioramento della prestazione atletica, comunque, è accertato che intervengono altri adattamenti periferici, come una maggiore capacità da parte del tessuto muscolare di estrarre ed utilizzare ossigeno; avviene cioè un reale miglioramento delle capacità di trasportare ossigeno ed utilizzarlo in periferia. Per quanto riguarda gli effetti sul metabolismo energetico, invece, si può affermare che l'ipossia provoca una riduzione delle capacità aerobiche ed anaerobiche; infatti, la capacità lattacida dopo uno sforzo massimale in ipossia acuta, non si modifica rispetto al livello del mare, ma dopo l'acclimatazione subisce un'evidente riduzione.

A questo si aggiunge che già ad altezze superiori ai 2.300 m, sostenere allenamenti alla stessa intensità di quelli a livello del mare è praticamente impossibile. Nel preparare, quindi, un periodo di allenamento in alta quota sarà bene ripristinare i depositi di ferro e curare l'idratazione, che dovrà essere superiore al normale per via della maggiore disidratazione. Riguardo poi le metodiche di permanenza, gli studi sono giunti univocamente ad indicare la migliore soluzione, per il miglioramento dei valori ematici e delle prestazioni sportive, con una permanenza ad alta quota (2.500 metri) ed allenamenti intensi a quote medie (1.250 metri), così come dimostrato dall’osservazione di due gruppi di controllo di cui uno viveva e si allenava costantemente in alta quota e l’altro soggiornava in alta quota e si allenava intensamente a quota intermedia. Ovviamente, nel ciclismo è più difficile ricreare questa condizione (gli studi sono stati condotti su atleti di atletica leggera), ma questo non significa che una permanenza in alta quota per un periodo di 6 settimane non sia efficace. Infatti, anche il gruppo di controllo che si trovava costantemente ad alta quota aveva ugualmente aumentato i propri valori ematici, ma non le prestazioni atletiche a causa degli allenamenti svolti in alta quota, che comportavano una minore frequenza cardiaca, consumo di ossigeno ed un minor picco di lattato.